“Signore, io ho provato che costruire è più bello che distruggere, dare più bello che ricevere, lavorare più appassionante che giocare, sacrificare più divertente che divertirsi. Signore Gesù fa che non me ne scordi più”
E’ la preghiera di Don Lorenzo Milani rivolta ai suoi ragazzi di San Donato, ripresa nella prefazione del Card. Matteo Maria Zuppi nel libro “Lettere” a cura di Michele Gesualdi, edzioni San Paolo.
Il volume è una raccolta di 140 lettere dal 1950 al testamento spirituale, pagine profonde che aiutano a capire le ragioni e le scelte della sua opera e della sua vita.
Don Lorenzo Milani nasce a Firenze il 27 Maggio 1923 in una famiglia borghese, dopo vent’anni trascorsi nell’agio decide di prendere i voti e fu ordinato sacerdote nel 1947 e nell’Ottobre di quello stesso anno viene mandato a San Donato di Calenzano (Firenze) dove fonda una scuola popolare serale per i giovani operai e contadini della parrocchia.
Nel 1954 Don Lorenzo è nominato priore di Barbiana una piccola località montana e anche qui organizza una scuola popolare come quella che aveva realizzato a San Donato.
Nel 1956 organizza per i primi 6 giovani che avevano terminato le elementari una scuola di avviamento industriale.
Nel 1960 viene colpito da un male che dopo sette anni lo portò alla morte.
Nel 1964 scrive insieme a Don Borghi una lettera ai sacerdoti della Diocesi di Firenze in difesa della rimozione dal seminario di mons. Bonanni.
Nel 1965 scrive una lettera ai cappellani militari che gli costò due processi per apologia di reato. Il processo si svolse a Roma, ma non potè partecipare a causa della malattia. Il primo processo ebbe un assoluzione con formula piena; il secondo, in appello, nel 1967, condannava lo scritto, ma Milani, morì quattro mesi prima.
Don Milani ebbe una vita breve ma intensa, dalla raccolta di lettere emerge il ritratto di un sacerdote con una prorompente umanità capace di autentiche battaglie civili.
Divenne Priore di Barbiana, un piccolo paese montano, dove costruì una scuola che si impose all’attenzione di molti. In quel luogo sperduto offrì ai poveri gli strumenti per emanciparsi e con la “Lettera ad una professoressa” scritta in seguito alla bocciatura di due studenti di Barbiana all’esame di ammissione alle scuole Magistrali, mette sotto accusa il carattere selettivo della scuola pubblica dell’obbligo di quegli anni, incapace di colmare, gli svantaggi iniziali di chi nasce in una famiglia povera.
Molti hanno cercato di affibbiare a Don Milani un’etichetta ma lui era semplicemente un prete, non aveva idee di sinistra, non aveva idee progressiste, non era un contestatore, scelse semplicemente il Vangelo e rimase dalla parte dei poveri.
Don Milani era convinto che solo l’istruzione poteva aiutare i contadini e gli operai a superare la rassegnazione di una vita fatta solo di lavoroe fatica e che l’uso corretto della parola equivaleva per i suoi poveri a ricchezza e libertà.
Può essere definito un sacerdote scomodo, provocatore per questo fu isolato a Barbiana, ma proprio da quell’isolamento che arriva il suo riscatto.
Dal nulla costruisce una scuola popolare per operai e contadini. Il motto era “I care” cioè “mi sta a cuore, mi prendo cura”. L’esperienza di quella scuola sperduta tra gli Appennini è la testimonianza viva di un’esperienza umana, religiosa ed educativa che non finirà mai e continuerà in tutti quei giovani diventati semi dell’esempio di don Milani.
Un sacerdote che con le sue convinzioni nette e coerenti ha lottato per un mondo giusto ed equo.